A ripensarci oggi sembra quasi surreale e un tantino buffo: noi non esistevamo eppure ci riunivamo regolarmente a casa di quello stesso Stato che non ci conosceva.
In quegli anni scherzavamo spesso e volentieri sullo Zen della politica, come diceva Majid, o, come dicevamo noi damanhuriani, sull'umorismo di una sincronicità che ci faceva scoprire le contraddizioni di una cultura ancora lontana dalle nostre realtà etiche e meditative.
Lucia macinava incontri su incontri, passava da Ministri sensibili e rispettosi, come Livia Turco, a Presidenti del Consiglio di centro destra o di centro sinistra.
Ogni volta che il Governo cambiava era tutto da rifare: "ricominciamo da tre", diceva lei con il suo umorismo partenopeo che contagiava persino il burbero Manconi.
"Un giorno potremo vivere la nostra vita alla luce del sole", ci dicevamo da un mese all'altro: la luce, elemento simbolico quanto fondamentale.
Per scaramanzia spingevamo avanti Lucia, per via del nome che portava: "è un segno", dicevamo, e lei faceva gli scongiuri e poi rideva, con una spavalda rassegnazione che non mascherava per nulla la sua totale determinazione.
Oggi esistiamo perché abbiamo un nome e perché sappiamo dove vogliamo andare.
E forse perché, come si dice, il caso non esiste.
Coboldo Melo - Direttore della rivista "Qui Damanhur Futuro"