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"Uguale per tutti: la legge è, dovrebbe essere, speriamo che sia, dobbiamo fare in modo che sia"


E' difficile sintetizzare tutte le suggestioni che i relatori che mi hanno preceduto mi hanno sollecitato. Anch'io come Olindo Canali avevo pensato di dire delle cose ma nel frattempo ne sono state dette altre, quindi cambio quello che volevo portare.
Vorrei partire dal professor Ferrarotti perché, visto che è molto autorevole, le sue parole possono influenzare la platea. Vorrei dire che non le condivido o, meglio: condivido l'analisi di alcuni nostri mali ma penso che non basti accorgersi che c’è una malattia perché poi qualunque cura vada bene: è vero che hai avuto la bravura di individuare la malattia ma se la cura è sbagliata il paziente muore. Il professor Ferrarotti ha detto che il modello anglosassone non è esportabile ma poi l'ha lodato parlando di quanto sarebbe bello se anche in Italia ci fosse un giudice eletto dal popolo. Questa esperienza c'è già nella storia, o nella letteratura, a seconda di come interpretate il racconto dei Vangeli, ed è il giudizio di Ponzio Pilato. Ponzio Pilato processa un uomo, lo ritiene innocente, però decide di far decidere il popolo; chiede al popolo cosa vuole, il popolo vuole il Cristo crocefisso e lui lo fa crocifiggere. Prescindendo dalla figura di Cristo, la questione è che il giudizio del popolo è estremamente pericoloso.
Fatta questa breve premessa, vengo direttamente al mio tema. Un altro passaggio importante è questo: condivido pienamente quello che ha detto Cormorano, che mi ha preceduto, dicendo che c'è una differenza sostanziale tra i due generi di comunità: uno Stato da cui non te ne puoi andare, occasionale, nel quale sei per caso o per necessità; e una società intenzionale in cui vai o che costruisci perché lo vuoi.
La mia impressione è che la convivenza tra queste due realtà, entrambe preziose, debba essere che la comunità intenzionale non deve avere l'ingenua arroganza - e sicuramente Damanhur non ce l'ha ed è bella per questo - di proporsi come modello assoluto per tutti. Lo Stato non deve avere, a sua volta, l'arroganza di non capire quanto la comunità sia preziosissima ed importante anche per lui. In sostanza, occorre capire la differenza delle due cose ed integrarle bene, lo sbaglio da parte di una delle due parti danneggia l'insieme.
Non sono completamente d'accordo con Cormorano quando lui, nell'individuare la differenza tra lo scopo delle norme della società intenzionale e quello delle norme della società che lui chiama occasionale e che io chiamo necessaria dice: “La norma dello Stato rincorre, la norma della comunità orienta ed indirizza”. Io mi permetto di proporvi di accettare l'idea che anche la norma dello Stato debba orientare ed indirizzare.
Faccio una precisazione indispensabile, altrimenti lo Stato diventa etico e pericoloso ed invadente e qui c'è anche un'altra critica, più forte della precedente, che voglio fare a Ferrarotti: guai a una Costituzione che si adegua a ciò che vuole il popolo. Lo Stato deve orientare ed indirizzare in pochissime cose, e torno ancora d'accordo con Cormorano sulla necessità di un diritto essenziale, minimo, perché poi il resto vive nella realtà sociale. Per chiarire meglio questa cosa vi propongono una brevissima ricostruzione di quello che ci sta succedendo. Secondo me, stiamo tornando indietro nella concezione della legge, in maniera pericolosa. La legge antica, quella che Canali ha benissimo definito “degli dei e dei regnanti”, era la semplice manifestazione della volontà del potere. La legge non era altro che ciò che voleva il potere. Se il Faraone diceva “E’ vietato fare il bagno nel Nilo” questo diventava legge, non aveva senso chiederne il perché, non ci sarebbe stata risposta e, probabilmente, si sarebbe stati incarcerati solo per l'impudenza della domanda.
La legge moderna, quella post-rivoluzionaria - e qui Ferrarotti per fortuna ci dà atto che Montesquieu non dobbiamo dimenticarcelo - cambia completamente la natura della legge: non è più una semplice manifestazione del potere, ma un prodotto della ragione, di una ragione critica, umile. Quindi, è il risultato di una ricerca comune, non è più figlia della pura volontà ma della ragione. In tutto questo, il senso del parlamentarismo non è che le maggioranze sono più forti delle minoranze ma è che, forse, quattro occhi vedono meglio di due. Quindi, se la maggioranza intuisce che le cose siano così, facciamo come dice la maggioranza, dato che lo crede giusto, ma sforziamoci anche di capire se è giusto davvero o se è il caso di cambiare, come sostiene la minoranza.
Viceversa, nella società odierna questo concetto si è completamente stravolto, e l'idea è che la maggioranza abbia ragione in quanto maggioranza. Questo è pericolosissimo perché nega l'idea stessa di diritto che ci eravamo fatti. L'articolo 2 della Costituzione italiana ci dà l'idea di uno stato umile, da questo punto di vista, perché dice “riconosce”, non dice “crea”; è uno Stato che sa che possono esserci cose che non può negare, che non può togliere perché non è lui che le dà. Allora io credo che la Società odierna rischia, se non si accorge di questo gravissimo errore in cui si è infilata, rischia di negare completamente l'idea di diritto e di cambiare la natura stessa della legge. Il cambiamento della natura della legge fa sì che poi la legge non sia vissuta come qualcosa di condiviso e di degno di rispetto.
Faccio degli esempi così, forse, si capisce meglio: qualche mese fa, dolorosamente e tragicamente, un cittadino rumeno ha ucciso una donna romana. Questo fatto, analizzato con la ragione, è un crimine come tanti, non è un “crimine rumeno” perché omicidi così ne commettono anche gli italiani e quindi non c'è ragione di vederlo come una cosa che riguardi i cittadini rumeni. Eppure, mi dovete dare atto che la società italiana l'ha vissuto come un crimine dei rumeni e si è interrogata su cosa fare dei rumeni. Non si è chiesta se i rumeni hanno diritto di stare in Italia ma si è chiesta se gli italiani li vogliono o no. Questo modo di ragionare è assolutamente fuori dalla logica del diritto e diventa, appunto, il giudizio del popolo, il giudizio che porta alla crocifissione di un innocente.
Qualche anno fa, noi abbiamo visto in televisione, a Lampedusa caricare degli extracomunitari su degli aeroplani e mandarli in Libia, compiendo una cosa, dal punto di vista del diritto, molto grave. Quelle persone avevano quasi sicuramente diritto di asilo e noi italiani, mentre cenavamo, li abbiamo visti in televisione salire su un aereo e finire in Libia, dove non è neppure riconosciuta la Convenzione di Ginevra.
Il Parlamento Europeo ci ha biasimati, ha fatto una delibera di condanna dell'Italia per questo, ma noi abbiamo assistito ai fatti senza turbamento, senza renderci conto che si stava violando un diritto. Questo che vi ho detto ci deve preoccupare innanzitutto per i rumeni e gli extracomunitari, ma anche per noi: un Paese dove non ci sono i diritti oggettivamente riconosciuti e oggettivamente tutelabili, è un Paese in pericolo di civiltà, in gravissimo difetto di civiltà. I diritti non sono quelli che la maggioranza mi vuole riconoscere ma quelli che democraticamente abbiamo capito che spettano a me e agli altri; quindi, dobbiamo fare uno sforzo per recuperare un'idea moderna del diritto, in cui il diritto vale nei confronti di tutti, in cui vale anche quando non mi piace, anche quando non mi conviene. Ed è ovvio che non c'è alcuna ragione che diventi diritto anche quello che non è necessario che lo Stato regolamenti.
Cormorano diceva: “Più comunità, bisogna incoraggiare l'esistenza delle comunità”. Canali aveva dichiarato: “Facciamo attenzione perché questo mette in pericolo lo Stato”. E’ vero, pericolo c’è ma c'è nella misura in cui abbiamo perso l'abitudine ad una vera democrazia, perché abbiamo ridotto la democrazia a un'idea per la quale si è in democrazia se si sceglie chi governa. Badate, questo è un equivoco micidiale. In Italia, secondo il mio modesto parere, non c'è democrazia ma crediamo che ci sia perché andiamo a votare. Attenzione, la democrazia non è solo un metodo di scelta del governante. Innanzitutto, se fosse solo un metodo di scelta di governante noi non saremmo in democrazia perché non scegliamo chi governa ma scegliamo chi sceglierà, per giunta con la legge attuale votando a liste bloccate. Quindi, se la democrazia fosse solo la scelta del governante noi non saremmo comunque in democrazia.
Il problema è che la democrazia non è solo scelta del governante, è fondamentalmente un metodo di esercizio del potere e, ancora, uno schema di relazioni orizzontali. Questo cosa significa, anche con riferimento all'ipotesi di un diritto della comunità? Significa che tra una società nella quale ci scegliamo chi governa ma lui governa come vuole lui, e una società nella quale non scegliamo chi governa perché ci viene dato tutto in eredità, ma che è governata secondo regole oggettive che valgono per tutti, è più democratica la seconda. Quindi il problema non è di chi governa ma di come governa, di quali regole ci sono perché il suo potere sia esercitato in maniera democratica.
Badate che “democratica”, e qui ritorno a Ferrarotti, a mio modesto parere non vuole dire “voluto dal popolo” nel senso di acclamato. L’allora Ministro della Giustizia, Castelli, fece togliere da dietro la schiena dei giudici la scritta: "La Legge è uguale per tutti " e fece mettere la scritta: "La Giustizia è amministrata in nome del popolo". In questo c'è la chiave di tutto quello che vi volevo dire: questa cosa sarebbe anche giusta perché nella Costituzione effettivamente c'è scritto che la giustizia è amministrata in nome del popolo, ma il popolo di cui parla la Costituzione non è il popolo inteso come persone fisiche ma è il popolo ideale, per cui io amministro la giustizia non in nome della gente che mi sta avanti ma in nome di quel tipo di popolo che la Costituzione dice che devo rappresentare.
Quindi, se tutti vogliono linciata una persona perché credono che mangi i bambini, io non devo farla linciare ma devo verificare se mangia o no i bambini e qualora, caso mai, li mangiasse, devo verificare cosa è previsto per questo reato. Se invece non è vero, la devo assolvere.
Invece, nell'idea di quel ministro c'era la giustizia amministrata in nome dell'elettorato; questo, ripeto, ci riporta a quello che dicevo prima, ad una società fondata sulla forza del potere nella quale il potere, anziché essere impersonato da uno, il Faraone, è impersonato da un gruppo: il potere è la massa, il potere è la folla. Questo è un arretramento.
Dobbiamo ricostruire un tessuto democratico che abbiamo perduto, nel quale le comunità intenzionali non possono che essere benedette perché sono la prima prova, una splendida prova di esercizio vero di democrazia, cioè di esercizio vero di relazioni orizzontali, di esercizio vero di potere controllato se non altro dalla propria stessa logica interna, perché scegli di accettare questo potere o te ne puoi andare se non ti piace.
Aggiungo solo una piccola cosa che è questa: il professor Ferrarotti ha detto che in Italia i poteri si parlando tra loro e secondo me questa è una cosa verissima. Ma un'altra delle malattie della nostra democrazia è l'incapacità di vero confronto e in questo mi riporto a Falco che ha detto una cosa secondo me molto bella: "In Damanhur non abbiamo paura di affrontare delle condizioni nuove, in nessun ambito".
La nostra società è una società del benessere, è ricca, è una società che tende, quindi, alla difesa. Chi ha qualcosa tende ad aver paura dei cambiamenti che possono togliergliela; la sfida che abbiamo davanti è quella di non avere paura perché la paura è lo strumento del potere. Il potere politico, il potere economico usano la paura. Il potere economico ti dice se non hai il telefonino di ultima generazione rischi di non poter fare quello o quell'altro e la gente pensa che se non potrà fare quello e quell’altro starà male. Il potere politico ti dice “Se non arrivo io e non ti fai imporre delle leggi e non mi dai il potere verrà la Sars”. Vi ricordate l'incubo della Sars? La Sars ha ucciso in tutto il mondo 800 persone mentre l'influenza ne uccide tre milioni all'anno, però per la Sars si sono giustificate tantissime cose… Noi dobbiamo vincere la paura ed avere il coraggio di metterci in gioco.
Alcuni magistrati stanno facendo l’esperienza di mettersi in discussione, cioè di fare una cosa che i magistrati non fanno granché, che è quella di parlarsi pubblicamente e di autocriticarsi anche pubblicamente. Lo stiamo facendo in un blog che si chiama "Uguale per tutti", che era, da qui, il titolo della mia relazione.

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