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"Stato e comunità: spazi comuni e possibili conflittualità"

"Stato e comunità: spazi comuni e possibili conflittualità"
Confesso che è difficile tirare delle conclusioni al termine di una giornata così intensa ed in cui si è parlato sia di sommi sistemi sia di sommi principi filosofici, sia di una serie di attività pratiche con delle prospettive che non sempre sono coincidenti.
Collegandomi a quanto detto stamani, in modo sicuramente quale io non riuscirei ad esprimere per l'elevatezza dei concetti, mi limito ad una mia osservazione: sicuramente le comunità nascono in base a delle condivisioni di valori. La condivisione di questi valori costituisce l'etica della comunità.
Mi sembra che qualche volta, quando si parli di etica, se ne parli in generale e in astratto, come se ci fosse un’unica etica e non assistessimo invece ad una pluralità di etiche. Anzi, per mia personale convinzione, ogni persona è portatrice di una propria etica, che poi troverà condivisione in coloro che avranno gli stessi valori. Del resto, se noi ci stacchiamo, non solo dal modello locale, non solo dai modelli nazionali, ma anche dai modelli occidentali, ed abbracciamo l'intero mondo, vedremo che, in realtà, ci sono valori diversi. Addirittura quelli che in un certo mondo, chiamiamolo “occidentale”, sono dei disvalori, diventano valori positivi in altri mondi, in altri contesti che noi chiamiamo incivili. Tanto per fare qualche esempio, penso alla pratica della lapidazione dell'adultera, che è esecrata dall'etica occidentale mentre per quelli che la praticano rappresenta la rispondenza di un valore. Questa contrapposizione sembra nascere da ciò che è sottinteso nel titolo di questo convegno - "Leggi scelte o subite" -, sembra quasi voler dire che la comunità è una struttura che ha, di per sé, un valore positivo perché risponde all'etica, mentre la legge costituisce una imposizione e quindi in una certa qual misura è contrapposta.
Io credo che anche l'esigenza di avere una legge sia un'esigenza etica, cioè un’esigenza che viene avvertita dalle singole comunità intese in senso ampio, per cui ad un certo punto, quando, inevitabilmente, in qualsiasi comunità compresa in questa, si creano delle situazioni conflittuali, subentra una norma che comunque la si voglia chiamare è una norma giuridica. Quando si dice leggi scelte o leggi subite, chiaramente intendiamo che più le leggi sono scelte e condivise e meglio è, perché l'osservanza di una regola condivisa è più facile che non l'osservanza di una regola non condivisa. Ma in una certa misura dobbiamo riconoscere che ci sarà sempre un tasso di violenza nella legge, in quanto la legge pone le regole che saranno condivise da una parte ma saranno sicuramente, probabilmente, visto che non tutti siamo uguali, non tutti abbiamo gli stessi valori, subite da un’altra.
Questo non incide sul valore della democrazia come modo di formazione della legge. E' vero quello che ha detto stamattina Felice Lima, che non è solo in quello che consiste la democrazia, però è già molto.
E' stato ricordato stamattina che Ponzio Pilato ha rimesso la decisione sulla sorte di Gesù Cristo alla giuria. Chi si nutre di studi classici, sicuramente, si ricorderà anche della “Storia della colonna infame” raccontata da Alessandro Manzoni… Giustamente diceva Olindo Canali: per carità, no al giudice interprete dello spirito di popolo. E quindi la legge ci vuole, ci vuole con il suo tasso di impositività anche nei confronti di chi non la condivida; anzi, nel momento in cui si forma la legge cessano maggioranza ed opposizione perché tutti sono uguali o dovrebbero essere uguali davanti alla legge.
Il principio di democrazia si ferma nel momento di formazione. Dopo, subentra il principio di uguaglianza. Vero è quello che ha detto Bruno Tinti in relazione al nucleo fondamentale del suo discorso, io non mi addentro in esemplificazioni o riferimenti concreti ma vero è che in Italia sembra non accettarsi più il significato del valore convenzionale, della doverosa accettazione del principio per cui la sentenza, quando diventa sentenza definitiva, è quella: non solo deve essere rispettata ma non deve essere vanificata attraverso tutti quegli strumenti di persuasione o di processi alternativi e paralleli che si fanno nelle vicende politiche e anche nelle vicende normali.
Questo, però, a mio avviso, deriva non solo dal fatto che abbiamo avuto una cattiva classe politica ma anche dal fatto che la classe politica è un riflesso del costume sociale di questo paese. Cioè, noi abbiamo già un costume sociale che rende difficile, poco comprensibile e poco praticato il rispetto delle regole ed in cui molti sono capaci di rivendicare i propri diritti ma pochi lo sono di riconoscere e propri doveri. Probabilmente questo avviene anche per tradizione storica, vicende secolari che hanno portato ad una tale insofferenza verso le regole e l'osservanza delle regole; del resto, durante il fascismo si diceva che in Italia la dittatura era mitigata dall'abituale inosservanza della legge…
Perché fa parte di un costume, di un costume che incomincia dalla scuola. Se voi andare in uno Stato di cultura anglosassone, voi trovate che non è concepibile che in una classe si passi il compito dall'uno all'altro, si faccia la frode all'insegnante. Il ragazzo che viene scoperto a copiare e quello che lo lascia copiare vengono espulsi almeno per un anno. Perché? Perché non si è osservato la regola. Da noi invece il valore di solidarietà ti impone, soprattutto, di dare da copiare, non c'è il minimo dubbio!
Quando arriviamo ai concorsi in Magistratura, nel concorso fra futuri magistrati in cui in realtà io sono concorrente dell'altro al mio fianco e la commissione deve poi decidere se scegliere o me o scegliere lui, ci si aiuta perché la commissione è il nemico. Tutto quello che rappresenta l’istituzione è vissuto come nemico; questo si traduce in un costume che poi va in tutto il resto, per cui si ritiene assolutamente giustificato non pagare le tasse.
Vengo qui al punto nevralgico perché, sicuramente, le storie delle democrazie si fondano sempre sul rapporto con le tasse e le imposizioni. Non c’è nessuno - a parte i magistrati - che non concepisca eticamente legittimo il cercare di non pagare le tasse! Andando da un professionista, quando quello dice “Vuole la fattura o no? Se vuole la fattura fa così, se non vuole la fattura fa cosà” quanti rispondono “Voglio la fattura”? Chi è che risponde che vuole la fattura? Ditemelo, vorrei saperlo. Non so come fate qui a Damanhur, lo chiedo perché in caso positivo io proporrei direttamente il passaggio dalla comunità quantomeno alla beatificazione.
Noi dobbiamo fare una riflessione più profonda, non solo sulla legge, non solo sulle discipline di questa o quella comunità ma sul nostro costume, cominciando a fare un'autocritica, veramente cominciando da noi stessi. Io trovo sempre che si faccia l'autocritica per categorie, anche nella magistratura: noi magistrati dobbiamo fare autocritica, si dice. Sono perfettamente d'accordo, a patto che chi parli dica “Comincio a fare la mia autocritica e non la critica ad altri che fanno parte della mia categoria”. Questo è uno dei nodi nevralgici; qual è il problema? Io credo che il principio di favorire la formazione di comunità sulla base di valori etici collettivi sia un principio molto condivisibile e, da cittadino, credo che vada sostenuto perché, nella mia personale visione, non è il cittadino che deve servire uno Stato Moloch ma è lo Stato che deve rispondere ai bisogni delle persone. Tra questi, sicuramente, quello che incentiva i valori positivi dell'essere umano, tra i quali c’è anche il desiderio di una esperienza spirituale che ognuno avverte in sé anche se non credente. L’essere umano è un insieme di sentimenti, di passione, di ragione, alcuni dei quali lui valuta in maniera positiva ed altri in maniera negativa. Che poi questa valutazione del bene e del male avvenga perché c'è qualche cosa di trascendente o perché qualcosa insito nell'individuo – che si chiami istinto o si chiami in altro modo - credo che sia cosa che debba appassionare i filosofi ed i teologi ma certo questo substrato ciascuno di noi l'avverte. Ed allora è chiaro che ciascuno avverte l'utilità che può avere, davanti alla situazione umana che spesso sfocia nella disperazione della solitudine, il valore che può venire da una comunità con principi condivisi, non solo per sopravvivere ma meglio ancora per dare un senso alla vita ed alla esistenza ed alle persone che ne fanno parte.
Nell'inserirsi in queste comunità, vi deve essere un rapporto tra le comunità, sicuramente da difendere ed incentivare, e le istituzioni che rappresentano lo Stato in cui le comunità si inseriscono. Rapporto che deve avvenire nel rispetto delle rispettive individualità, quantomeno dei valori fatti propri dalla comunità e che possono cambiare con il tempo, possono cambiare con il costume, possono cambiare con le leggi.
Questo è un compito che ovviamente non spetta ai magistrati, per fortuna, perché credo che già i magistrati facciano fatica a fare il loro lavoro e non debbano appropriarsi di un mestiere che deve essere di altri. Credo che questo sia un cammino difficile, che vada intrapreso, tenendo fermi questi paletti, per non depotenziare le strutture che aiutano l'individuo, per non creare ulteriori momenti di conflittualità e disgregazione in una società che complessivamente di tutto ha bisogno fuorché di questo.

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