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CONCLUSIONI

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A cura dei moderatori: Giancarlo Fiorucci e Roberto Sparagio - Coboldo

 

GIOVANNI CARLO FIORUCCI

Faremo delle conclusioni a due voci. Lo scopo del Convegno era quello di trovare degli spunti per dimostrare la necessità ma soprattutto l'utilità di una legge che tuteli e regolamenti le comunità intenzionali. Mi sono segnato cinque punti che sono emersi dalla discussione di tutta la giornata.
Primo punto: sulla Costituzione. La Costituzione in uno Stato deve esistere o no? Se esiste, deve prevedere tutto o no? Auspicabilmente, no! Ma se non prevede tutto, deve essere prevista una sua continua evoluzione con l'evoluzione della società.
Secondo punto: La Giustizia è ingiusta. Lo abbiamo sentito ripetere molte volte durante la giornata. In Italia le leggi sono fatte dai partiti politici per i propri interessi e quindi fatte per non funzionare, tanto che un processo, abbiamo sentito, dura mediamente dai cinque agli otto anni.
Terzo punto: i poteri legislativo ed esecutivo hanno solo l'interesse di durare il più a lungo possibile, quindi per non scontentare nessuno non decidono. Non decisione ma paralisi. Cosa ne consegue? Che il potere giudiziario deve supplire alle carenze degli altri due poteri.
Quarto punto: l'applicazione delle leggi. Il potere giudiziario deve supplire alle carenze degli altri ma deve applicare e non interpretare le leggi, che sono fatte, guarda caso, direttamente o indirettamente, dagli altri due poteri. C'è la possibilità di avere norme etiche?
Quinto punto: il diritto, in qualche maniera, si impone con delle norme di diritto etico ma la norma etica per sua natura non può essere imposta, altrimenti non è più etica…
La domanda finale è: ma l'etica esiste ancora? Quale tipo di etica, se esiste, esiste in Italia? A questo punto la conclusione, che lascio al collega co-moderatore, è domandarsi se l'esempio di una comunità intenzionale può aiutarci ad uscire da questo che è diventato un vicolo cieco.


ROBERTO SPARAGIO - COBOLDO MELO

Io provo a riflettere insieme a voi, vorrei lo facessimo insieme e rifletto intanto sull'occasione che abbiamo avuto oggi di partecipare a questo convegno, nel quale abbiamo sentito punti di vista diversi, nel quale ci sono state domande e risposte. Non capita tutti i giorni di ragionare insieme su queste cose, con argomenti giusti o sbagliati che siano. Non lo dico per fare una inutile lode a noi stessi, lo dico perché a volte spostiamo il ragionamento sui grandi sistemi e non ci accorgiamo delle possibilità e delle opportunità che abbiamo, noi come cittadini, di dirci alcune cose.
Indubbiamente, quella di una giustizia creata per non funzionare è una visione pessimistica.
Noi a Damanhur ci siamo imposti, vogliamo, scegliamo di essere ottimisti. L'occasione di dire, di ragionare insieme, apre, indubbiamente, all'ottimismo e noi su questo dobbiamo continuare, dobbiamo pretendere di avere altre opportunità di discutere.
Allora, io vorrei che ci autoinvitassimo in una prossima occasione, non tra chissà quanto, ma ragionevolmente a breve tempo, coinvolgendo altri magistrati, ritornando noi, riproponendo progetti o iniziative, per dare un senso pratico e concreto a quanto oggi abbiamo detto. A quanto abbiamo detto su un grande sistema che ha molti pregi ed indubbiamente anche limiti, su un piccolo sistema - quello damanhuriano - che certo in una scala ridotta funziona e sta in piedi. E non solo fa questo - ed anche questa non è una lode a noi stessi - ma si mette in discussione e si mette su un palco a ragionare di questi sistemi, altro fatto non così del tutto usuale.
La palla passa ai politici? In un certo senso, sì. A loro, infatti, spetta fare le leggi, non certo ai magistrati che oggi ci hanno raccontato le loro esperienze ed esposto le loro idee. Guardate che il politico è, comunque, e deve essere il rappresentante di una comunità naturale, per dirla con Adriano Olivetti, o di una comunità intenzionale, per dirla come diciamo noi, un po' idealmente riprendendo quel testimone. Noi dobbiamo chiedere di essere rappresentati, è nostro diritto proporre e nostro diritto coinvolgere: coinvolgere innanzitutto noi stessi, ma anche chi ci rappresenta e ci deve rappresentare, chiedendogli poi conto delle cose fatte e non fatte. Evitando di chiedere, evitando di partecipare lasciamo un vuoto che viene inevitabilmente colmato da chi intende gestire tutto e lo fa per naturale rapacità o perché coglie l'occasione, ma lo fa anche perché noi ci siamo ritirati sul nostro pessimismo e quindi sul nostro senso di inutilità. Non deve essere così.
La possibilità di una legge che vada ad aggiungersi, ahimè, alle altre 150 mila leggi che l'Italia ha, è un po' un’apparente contraddizione. Tuttavia noi come cittadini abbiamo il dovere di chiedere leggi che possano davvero funzionare e che siano misurabili per la gestione del territorio, così come dobbiamo chiedere conto delle leggi inefficaci.
Una revisione, ad esempio, di un Codice Civile è possibile ma occorre una volontà precisa per poterla fare. Lavori fatti negli anni passati - il Conacreis se ne fece interprete alcuni anni fa presso alcuni giuristi - sono rimasti nel cassetto. Il Codice Civile può essere snellito, ammodernato ma occorre una volontà per poterlo fare. Ripeschiamo dai cassetti le cose buone, valide, riapriamo questa discussione.
Io spero che avremo presto la possibilità di ricontrarci qui se ci farà piacere, se lo vorremo, se lo vorrete, per riprendere questo discorso e per dirci come, nel frattempo, sono andate le cose che noi abbiamo chiesto e che abbiamo insistito perché avvenissero, con ottimismo e con speranza.

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